mercoledì 13 febbraio 2013

La nostra identità


Apro il mio quaderno degli appunti con le note della formazione del 2 febbraio 2013 e trovo dei disegni. Sono delle semplici forme geometriche incastrate le une alle altre con tanta fantasia, dettate forse dal subconscio, con qualche parola sparsa qua e là.

Poi nella pagina accanto vedo due torri stilizzate su un altura e un corso d’acqua che scorre.
Qui c’è poco da relegare al subconscio, la mia coscienza ha parlato forte e chiaro, stimolata dalle parole di Marco e dalle immagini scattate oggi in una Rovigo sotto la pioggia: le due torri, simbolo della città riconosciuto da tutti e anche da me, come immagine primordiale del luogo in cui sono nata.
Questo prodotto della mia reazione alla giornata di oggi forse sarà molto banale, ma potrebbe essere indice che tutto quello che è stato detto e rivisto – perché la città oggi è apparsa con una veste diversa – ha lasciato il segno, una traccia ovvia ma su cui si può lavorare per creare qualcosa di nuovo e personale.
Non è facile raccontare la giornata trascorsa con Marco Tortoioli Ricci, venuto per conto della cooperativa CO.MO.DO. a parlarci di identità e partecipazione. Sarebbe più semplice fare una sintesi degli appunti, ma verrebbe scritta una pagina di una lezione universitaria, fredda e priva di quegli stimoli e dubbi che pian piano a fine giornata sono comparsi.
Marco effettivamente ha tenuto una lezione universitaria, con tono severo e calmo da professore abituato a parlare per molto tempo ad una folla di studenti poco svegli; ha parlato di simboli e identità, come costruire l’identità tramite un processo partecipato con un metodo definito e degli obiettivi. Marco ha mostrato i lavori fatti con i suoi studenti della scuola di Urbino, ha raccontato di cornici urbane, di parchi naturali che diventano musei, di natural born database, di numeri civici che in realtà elencano altro.
Dopo tanti esempi di costruzione di un’identità di luoghi così diversi, nel pomeriggio ci ha lanciati singolarmente e in piccoli gruppi, a fare un sopralluogo fotografico per la città, scattando delle immagini che raccontassero, secondo il nostro punto di vista, Rovigo. Da tutto il repertorio di foto che è stato raccolto, sono affiorati i temi che ci toccano probabilmente più da vicino: la Rovigo storica trascurata in contrasto con le nuove architetture, le biciclette, il cinema che non c’è più, “piccoli dettagli di bruttezza” che ogni tanto infestano la città, opere d’arte nascoste, palazzi che cambiano colore, simboli che non conosciamo e un finto tappeto mosaicato di un negozio con la scritta “Palazzo Italia”. 
 Per alcuni aspetti abbiamo tracciato la mappa di una Rovigo che non si vede, che non esiste.
Alla fine si è fatto tardi e Marco è fuggito via, dandoci davvero una bella lezione. Provocando su alcuni aspetti emersi dalla visione collettiva delle fotografie, con un pizzico di ironia, ci ha lasciato gli strumenti per costruire il nostro progetto, per definire Habitat un insieme di caratteristiche le quali rappresentano un’essenza, un aggettivo discriminante per ciò che è Habitat o non è Habitat.
Valeria Cobianchi

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